“Guarda verso di noi”
Carissimo, Pietro e Giovanni, erano andati a pregare, uscendo dal tempio, s’imbatterono con uno “storpio fin dalla nascita” che con il braccio teso e la mano aperta chiedeva l’elemosina. Loro lo videro, stava con la testa bassa, si vergognava e gli dissero: “Guarda verso di noi”. I loro sguardi s’incrociarono e Pietro gli disse: “Non abbiamo ne oro ne argento ma quello che abbiamo te lo diamo, alzati e cammina”. Lo storpio si alzò!
“Guarda verso di noi” è il cammino di quest’anno. E’ uno sguardo rivolto ai tanti giovani che dopo la pandemia si sono seduti, mezzi paralizzati, sui gradini delle chiese, della scuola, della famiglia, ricurvi su se tessi, a zappettare sul telefonino in un’anonima ricerca di qualcuno o di qualche cosa, che possa dare una risposta alla loro solitudine. Queste righe sono il mio sguardo pieno di amore, per te che ti dice: Alzati e cammina.
E’ stata mia nipote, che riprendevo perché sempre ricurva sul cellulare, a dirmi: “ Zio tu sei vecchio, stai su facebook, i giovani li incontri su TIK TOK”. Incuriosito e nonostante che fossi consapevole di essere “fuori tempo”, mi sono avventurato sul social cinese TIK TOK. Sono rimasto scioccato! Che meraviglia! Un mondo magico, variopinto e colorato; tanto reale, quanto brutale, tanto affascinante quanto schiavizzante. Trovi tutto e il contrario di tutto. Un torrente in piena, che stranamente affascina e non fa paura. Non ci sono leggi, norme, si gareggia a chi la dice o la fa vedere più grossa. Si cercano gli hashtag più piccanti per trovare consenso e qualche like in più. Tocchi con gli occhi una pseudo libertà sfrenata. E’ un mondo che non conoscevo. Non saprei definirlo. Tik tok è la “vetrina del proprio io o la discarica delle proprie frustrazioni?”. Non mi è ancora chiaro, ma una cosa è certa: è un mercato, un centro commerciale di se stessi e degli altri, una fiera dove ognuno mette sulla bancarella quello che vuole, per vendersi e per comprare. Tik Tok: l’affascinate gabbia della libertà.
Vi confesso che, dopo le prime visite al sito, mi sono chiesto: Che ci sto a fare qua in mezzo?” Avrei voluto uscire, togliere la mia “vecchia faccia” dalle patinate foto e seducenti video dei giovani; tacitare la mia “stagionata voce” che strideva con le voci, i canti che brulicano nel social. Poi ho pensato: Gesù si mischiava con tutti, voglio provare a starci dentro. Butto la rete in questo torrente in piena dicendo: “Guardate verso di noi”. Sono rimasto meravigliato dai numerosissimi like e dei follower rimasti impigliati nella rete. Invece di essere contento mi sono preoccupato. Che vogliono dirmi i migliaia cuoricini e altri variopinti simboli cliccati? Più che persone che pensano, mi sono sembrati pesci che abboccano! E’ un mondo che non conoscevo, e documentandomi, le mie inquietudini si sono rivelate fondate. “Secondo un rapporto di una società di ricerca che lavora a Wall Street, TikTok sarebbe in grado di creare lo stesso livello di dipendenza di una droga pesante. Secondo Bernstein Research, l’algoritmo sviluppato dall’azienda cinese e il suo utilizzo nell’applicazione sotto forma di video brevi e storie a ripetizione sono la cosa più vicina all’effetto che dà il crack in una sorta di spirale di dipendenza che viene aumentata video dopo video: «La viralità dei contenuti fornisce endorfina agli utenti post dopo post, proprio come il crack fa effetto dose dopo dose» scrivono nel rapporto ripreso da Business Insider”.
Questa pesca, in un certo senso misteriosa, perché non ero dentro la corrente di questo indecifrabile mare, mi ha ulteriormente convinto che a questi giovani Tik Tok, dobbiamo non tanto indicare una strada, ma orientarli ai nostri volti. Dobbiamo essere il volto felice, luminoso che li fa staccare la faccia dalla tastiera del telefonino e guardarci negli occhi.
Ti chiedo quindi di accostarti a questo cammino con la consapevolezza che, in forza del battesimo, come Pietro e Giovanni, sei chiamato a essere un volto che affascina altri giovani a seguire Gesù.
Non ti dimenticare di “guardare anche me” e rivolgere a Dio una preghiera perché mi liberi dal mio peccato.
Francesco Cordeschi
PER CAMMINARE BENE INSIEME
Questo che hai tra le mani è un semplice strumento di lavoro. Se lo usi con attenzione responsabilità, ti potrà aiutare, strada facendo, a sperimentare la bellezza del volto del Signore.
La prima parte del cammino è proposta a forma di dialogo tra un pellegrino in ricerca e Pietro che gli indica la strada. Alla fine di questo dialogo, capite le motivazioni per cui vale la pena camminare, sarà consegnata la mappa dell’itinerario, che ti porterà, con le tue gambe, dal Tabor al Calvario.
Concretamente, ricorda che:
- L’incontro settimanale non s’improvvisa. Bisogna studiare e meditare prima a casa quello che poi si condividerà con gli altri. Se non c’è questo esercizio, l’incontro diventerà un’esibizione vuota di parole. Se il cuore non è aperto a Dio, è bene tenere la bocca chiusa.
- Il cammino, come ben sai, primariamente non è finalizzato alla discussione o al confronto, ma a sostenerti e guidarti all’incontro con Dio. Quindi la prima parte dell’incontro deve essere preghiera per ringraziare, lodare e chiedere perdono a Dio del cammino fatto nella settimana.
- Questo cammino non deve esaurirsi nell’incontro settimanale, ma l’incontro settimanale deve confermarci in uno stile di vita fatta di preghiera giornaliera per almeno quindici minuti, di Eucarestia settimanale e di confessione periodica.
- Non è facile in un gruppo comunicare e condividere la verità del cuore, ma sappi che è un lavoro ascetico importante perché ci aiuta a uscire da noi stessi e relazionarci con gli altri. Nessuno deve nascondersi nel comodo silenzio, tutti devono donare la fatica di condividere.
- E’ bene preparare l’incontro settimanale a turno.
- Infine accogli come un impegno le parole del Santo Padre: “I giovani sono capaci di guidare altri giovani e di vivere un vero apostolato in mezzo ai propri amici». Non temere, esci e dilata la Tenda.
Cari giovani, voi non avete prezzo!
Non siete pezzi da vendere all’asta!
Per favore, non lasciatevi comprare, non lasciatevi sedurre, non lasciatevi schiavizzare dalle colonizzazioni ideologiche che ci mettono strane idee in testa e alla fine diventiamo schiavi, dipendenti, falliti nella vita.
Papa Francesco
GUARDA VERSO DI NOI
Ho sperimentato nella mia vita che l’esperienza vissuta da Pietro Giacomo e Giovanni sul Tabor espressa nella frase : “E’ bello per noi stare qui” è possibile. E’ bello fare tre tende e abitarle per sperimentare nella precarietà e nella essenzialità, l’incontro con Dio, con se stessi e con i fratelli. Il cammino che ti propongo quest’anno, tende proprio a insegnarti la via per arrivare a questa gioia, a questa festa della vita.
Sia Pietro che Giacomo e Giovanni “stavano la” paralizzati e chiusi. Bloccati e impauriti. Passò un giorno Gesù li guardò e da allora si misero in viaggio con quel pellegrino per conoscerlo e abitare con Lui. Vissero con Lui per tre anni. Quello sguardo che li aveva sedotti con gli anni si impresse nel loro volto. Erano volto e voce di chi li aveva sedotti. Uscirono allo scoperto e diventarono sguardo che guarisce. Ascolta:
“Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. [2]Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. [3]Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. [4]Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: «Guarda verso di noi». [5]Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. [6]Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». [7]E, presolo per la mano destra, lo sollevò.
Carissimo giovane che mi stai leggendo, questa storia meravigliosa continua. Questo sguardo seducente affascina ancora. E’ Successo a San Francesco, a San Paolo della Croce, a Madre Teresa.. E’ successo a Don Pierino, che uscendo dal suo ufficio del Vaticano, a un giovane “fatto”, cioè drogato, ogni giorno gli metteva del denaro sulla mano. Un giorno pensò che non bastava e lo invitò ad andare con lui. Nascevano la comunità incontro.
E’ successo anche a me e ai tanti confratelli che con gioia annunciano la Parola. La Tendopoli è nata per continuare a seguire uno sguardo incontrato e sperimentato in una missione. L’incontro con Gesù parte sempre da un incontro. Da un volto che ti racconta che è bello quello che vive. La Tendopoli è stata è e sarà sempre un incontro di volti che gridano è bello per noi stare qui.
Sul monte Tabor, il giorno della Trasfigurazione, la frase “ è bello per noi stare qui” l’ha pronunziata Pietro, mentre guardava Gesù trasfigurato, ora in questa scena è lo sguardo di Pietro che guarisce il paralitico sulle scale del tempio. Per questo ho pensato di guardare anche noi Pietro per prenderlo, in questa prima parte del cammino, come guida per indicarci la strada che lui ha già percorso per passare da una situazione di “malinconica staticità” ad una esperienza di incontenibile gioia.
Quel giovane seduto ai scalini del tempio sei tu….
Domande per la condivisione.
- Guardati dentro: Ci sono diverse tipologie di giovani; chi si piange addosso e si lamenta, chi contesta ed è violento, chi narcotizzato dal sistema non si pone problemi, chi si chiede Io chi sono?
- Pietro disse al paralitico: «Guarda verso di noi». Tu chi guardi? Da chi vorresti essere guardato?
TU SEI L’AMATO
A– Io mi chiamo Alex, ho 17 anni e mezzo, me ne stavo tranquillo come sempre, appollaiato sui scalini, a zappettare sul telefonino, assonnato e annoiato. Fu lui, uno sconosciuta che passava, a prendermi la mano e a sollevarmi. Camminammo a lungo in silenzio. Quella mano che mi stringeva forte e quasi mi trascinava, mi dava sicurezza e fiducia. Ero come ipnotizzato , ma mi sentivo stranamente libero. L’essere “costretto” a camminare al suo fianco, mi dava una sensazione di sicurezza. Ecco mi sentivo come un innamorato che va verso la persona che ama. Lo guardavo con curiosità e alla fine non potei fare a meno di dirgli. – “Io non so chi sei, ma sto bene con te. Vorrei essere felice, ma spesso mi sento solo, non amato. Passo intere giornate a zappettare sul telefonino cercando amicizie, notizie , curiosità. Ma la sera quasi sempre sono solo. E triste”.
Non mi rispose. Continuammo a camminare in silenzio. Se la sua mano mi dava sicurezza quel silenzio mi incuriosiva. Ad un certo punto lo guardai e gli dissi: “Ma tu chi sei? Che fai?
P– Ero un pescatore- rispose guardandomi con un sorriso. Mi chiamo Pietro. Lavavo e rammentavo le reti, non ero soddisfatto della vita che facevo, gli affari andavano anche bene, ma ero chiuso in me stesso. Mi illudevo di stare bene perché non mi mancava niente. Un giorno passò un uomo sulla trentina d’anni e mi disse deciso: “Sali in barca e butta le reti”.
A – E tu che facesti, ?
P -Non so perché, quella parola, quello sguardo lo sentii vero, autorevole, e nonostante che tutta la notte non avevamo pescato niente, salii sulla barca, alzai le vele, presi il largo, e gettai le reti
A – Come andò la pesca?
P – Prendemmo tanti pesci che le barche affondavano. Tornati sulla riva quell’uomo ci fece trovare anche del pesce già cotto. Da quel momento decisi di seguirlo. Sono entrato nella sua cerchia di amici. Mi sono fatto suo discepolo. Non è stato facile. Era strano. Contestava i nostri capi, i dottori della legge e rimproverava i farisei. La gente lo voleva fare re e lui si nascondeva. Gli chiedevano i miracoli e lui li rimproverava. E’ stato difficile capirlo e seguirlo. Io , lo leggerai in seguito sul memoriale che ti lacerò, sono arrivato ha rinnegarlo per tre volte. In ogni caso il suo mistero mi incuriosiva.
A – Tutto qui? Non credo che una pesca miracolosa, un pranzetto in riva al mare, possano cambiare la vita! Che cosa ti è veramente successo?
P – E’ vero. Se quella pesca mi aveva in un primo momento incuriosito, poi stando con lui ho visto come viveva, quello che diceva e mi sono innamorato di lui. Un giorno mi prese in disparte e mi disse: – Pietro mi ami Tu? Nessuno me lo aveva mai chiesto. Non era una domanda, era una dichiarazione di amore. Mi sentii inondato dall’amore. Tu sai tutto – balbettai – tu sai che ti amo. Non amavo ero amato. Ero l’amato.
A – Faccio fatica a capire questo amore a prima vista
P – Non fu un amore a prima vista. Stando con Lui, per la prima volta nella mia vita, mi sentivo non giudicato, amato ed accolto,. Ho percepito stando con lui che il mio vivere era essere amato. Perché amato vivo. Scoprii allora, per la prima volta nella mia vita, che la verità su di me e su tutti gli uomini di qualunque religione o tradizioni provengano è una sola: Siamo gli amati.
A – Quindi anche io sono amato!
P – Certo e quello che vorrei farti capire, che questo amore non è generico, universale. E’ unico. Desidero che la parola ”Io sono l’amato” tu la percepisca, come fosse detta a te personalmente. Questa parola deve risuonare in ogni parte del tuo essere.
A – Ma sono amato anche se ho fatto tanti errori e peccati?
P – Certo. Indipendentemente da quello che fai o che hai fatto, devi convincerti che il tuo stato, il tuo DNA è di essere amato ed io spero in questo cammino di aiutarti a sperimentarlo più che comprenderlo.
A – Ma perché io non percepisco questo amore gratuito?
P – Domanda interessante, ma lo vedremo nel prossimo incontro. Per ora leggi questa parola:
“Ti ho chiamato per nome fin dal principio. Tu sei mio ed io sono tuo. Tu sei il mio amato, in te mi sono compiaciuto. Ti ho modellato nella profondità della terra e formato nel grembo di tua madre. Ti ho scolpito nei palmi delle mie mani, e ti ho nascosto all’ombra del mio braccio. Ti guardo con infinita tenerezza e ho cura di te con una sollecitudine più profonda che quella di una madre per il suo bambino. Ho contato ogni cappello del tuo capo e ti ho guidato da ogni parte ovunque tu vada, io vengo con te e ovunque tu riposi io veglio su di te. Ti darò del cibo che soddisferà ogni tua fame e bevande che estingueranno ogni tua sete. Non nasconderò il mio viso da te. Tu sai che io sono tuo come io so che tu sei mio. Tu mi appartieni. Io sono tuo padre, tua madre, tuo fratello, tua sorella, il tuo amante, il tuo sposo… Sì persino il tuo bambino…, comunque tu sia, io ci sarò. Niente ma ci separerà. Noi siamo uno.
Domande per la condivisione
- Perché Gesù a Pietro apparve nello stesso tempo strana ma anche affascinante?
- Nella tua vita, sia famigliare che sociale, ti senti amato, accolto e perdonato, o ti senti giudicato del giudizio degli altri, dall’apparire, dalla opinione del gruppo?
- Che significa l’espressione: “Scoprii allora, per la prima volta nella mia vita, che la verità su di me e su tutti gli uomini di qualunque religione o tradizioni provengano è una sola: Siamo gli amati.
NON MI SENTO AMATO
P – Nell’ultimo incontro ti avevo detto che avrei risposto alla tua domanda perché non ti accorgi di essere amato, ora, per cominciare, leggi questo brano del libro dei re.
“Elia entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Che cosa fai qui, Elia?». 10Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita». 11Gli disse: «Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore» (1Re19, 9-11)
P – Secondo te qual è stata la causa che ha indotto Elia a chiudersi in una caverna scoraggiato e deluso “desideroso di morire”?
A – Penso il fatto di non essere ascoltato e di non essere apprezzato per quello che proponeva anche se veniva da Dio.
P – Giusto. Non si voleva bene, non si stimava. Confidava nelle sue forze. Concretamente non si sentiva amato. Non sentirsi amati è il rifiuto di se stessi. Nei tre anni passati con Gesù e in tutta la mia vita di apostolo, tra la gente e i giovani, ho maturato la convinzione che non è certamente facile ascoltare quella voce: :”Tu sei il mio amato, in te mi sono compiaciuto”. In un mondo di apparenza e di competitività, pieno di altre voci forti, insistenti e negative che gridano: “tu non sei buono, sei brutto, sei indegno, sei da disprezzare, non sei nessuno, è facile credere loro. Questa è la grande trappola. E’ la trappola dei rifiuto di se stessi.
A – Questo è vero, lo vivo ogni giorno sulla mia pelle. Appena qualcuno mi accusa, o mi critica, appena mi sento rifiutato, lasciato solo o abbandonato, mi trovo a pensare: “questo prova ancora una volta che non sono nessuno”. Mi stupisco sempre di come cado in fretta in questo tipo di tentazioni. Invece di assumere una posizione critica al riguardo o cercare di capire quali sono i miei limiti, tendo a colpevolizzarmi – non solo per ciò che ho fatto ma per ciò che sono. Il mio lato oscuro dice “Non sono buono… mi merito di essere messo da parte, dimenticato. rifiutato e abbandonato”.
P – Perfetto! Hai capito tutto, e questo non volersi bene, genera nei giovani l’isolamento, e si creano dei gruppetti senza volto , delle piccole bande, che urlano, rompono, avvolte uccidono perché non si amano. Non percepiscono la verità di se stessi: Io sono l’amato. Rifiutano al società perché rifiutano se stessi.
A – E’ vero spesso vedo tanti miei amici che diventiamo arroganti, rompono, strillano Rispondono male, trattano male i vecchi, violentano le persone.
P – Esatto, l’arroganza è un altro aspetto del rifiuto di se stessi. L’arroganza è mettere se stessi su un piedistallo, per evitare di essere visto come “tu ti vedi”. Sia il rifiuto di se stessi che l’arroganza ci emarginano dalla comune realtà dell’esistenza e creano una comunità di persone estremamente difficili, se non impossibile da contattare.
A – Non posso non darti ragione. Se mi guardo dentro mi accorgo che sotto la mia arroganza, dentro le mie solitudini e paure, ci sono molti dubbi su me stesso. Quando mi lamento per quello che sono e di quello che faccio, manifesto che c’è in me un bel po’ di orgoglio nascosto. Non mi accetto. Mi rifiuto.
P – E’ chiaro a questo punto e spero che tu lo abbia capito, che il rifiuto di se stessi è il più grande nemico del cammino della maturazione umana e spirituale perché contraddice la voce sacra che ci chiama gli “Amati”. Ricorda: Essere amato esprime la verità centrale della nostra esistenza
Ascolta che ha detto Papa Francesco
Molte volte abbiamo fatto anche noi l’esperienza di Agostino, di ritrovarci imprigionati da pensieri che ci allontanano da noi stessi, messaggi stereotipati che ci fanno del male: per esempio, “io non valgo niente” – e tu vai giù; “a me tutto va male” – e tu vai giù; “non realizzerò mai nulla di buono” – e tu vai giù, e così è la vita. Queste frasi pessimiste che ti buttano giù! Leggere la propria storia significa anche riconoscere la presenza di questi elementi “tossici”, ma per poi allargare la trama del nostro racconto, imparando a notare altre cose, rendendolo più ricco, più rispettoso della complessità, riuscendo anche a cogliere i modi discreti con cui Dio agisce nella nostra vita. (Udienza del il 19. 10,22)
Domande per la condivisione
- Che significa il rifiuto di se stessi? E perché è una trappola mortale.?
- Come reagisci quando ti senti non amato, rifiutato, accantonato? Diventi arrogante? Ti chiudi in te stesso?
- E’ vera la frase: “Quando mi lamento per quello che sono e di quello che faccio, manifesto che c’è in me un bel po’ di orgoglio nascosto. Non mi accetto. Mi rifiuto.
ALZATI E CAMMINA
1 Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2 V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, 3 sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. 4 [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.] 5 Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. 6 Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». 7 Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 9 E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. (Gv. 5.1-9)
P – Questo paralitico che si lamenta che nessuno lo aiuta a chi ti fa pensare?
A- Ai tanti ragazzi che si aspettano che siano gli altri a risolvere il problemi della vita.
P – Esatto Questo brano ci pone davanti una situazione di staticità spaventosa. Stiamo tutti chiusi e rassegnati dentro una gabbia dorata. Ti porto un esempio: Mia mamma non mi ha mai detto che cosa vuoi mangiare, si mangiava quello che c’era, e zitto. Oggi anche ai bambini di tre anni si dice: che cosa vuoi mangiare? Cosa ti piace? Si cresce super coccolati e super protetti. Ci abituiamo ad un amore di comodo, ci illudiamo di essere amati perché coccolati e pensiamo che tutto ci è dovuto ( che vuoi?), Quando poi gli inevitabili fallimenti e delusioni della vita ci pongono davanti alla realtà, siamo incapaci di affrontarla e ci si chiude nella schiera di coloro che non si sentono amati, eternamente amareggiati che si lamentano di tutto.
A – Infatti è vero se mi ritrovo in questa situazione di inquietudine, lo devo al fatto che uno degli sbagli che ho fatto e che hanno fatto tanti miei coetanei non è forse quello di sperare che qualche persona, qualche evento, la politica, il prete di turno possono darmi quel sentimento definitivo di tranquillità e contentezza che tu desideri? Tante volte ho pensato che “forse questo libro, questa idea, questa serie di eventi, questo viaggio, questo lavoro, questa relazione, porterà a compimento il mio più profondo desiderio”.
P – E’ un’illusione: finché rimaniamo nell’attesa di questo misterioso momento, andremo avanti correndo alla cieca, sempre ansiosi e senza pace, sempre febbrili, e furiosi mai pienamente soddisfatti. Questo è il modo di esaurire e bruciare la vita. Questa è la trappola per la morte umana e spirituale.
Nessuno può dare senso alla nostra vita se non ha convinzione di essere amato. Noi siamo gli amati. Siamo intimamente amati, assai prima che i nostri genitori, insegnanti, coniugi, figli e amici ci abbiano amati o offesi. Questa è la verità della nostra vita. Questa è la vita che voglio che tu prenda per te stesso. Questa è la verità enunciata dalla voce che ti dice: “tu sei il mio amato”.
A – Comprendere di essere amati è relativamente facile, ma diventare veri amanti è difficile. Come si fa?
P – Anche io ci sono cascato. Mi credevo di amare Gesù, ma quando lui stava per essere condannato, io non l’ho difeso, mi sono nascosto, l’ho rinnegato. Vedi finché “ l’essere amato” è poco più di un bel pensiero o una bella idea sublime, sospesa nella mia vita per impedirmi di diventare depresso, niente cambia veramente. E’ necessario che la verità dell’essere amati si incarni in ogni cosa che pensiamo, diciamo o facciamo. Cio comporta un lungo processo di appropriazione.
A – Si è vero. E’ facile dire Gesù ti amo, ma diventare l’amato nella banale vita di ogni giorno non è facile. Calare questa verità che mi è stata rivelata dell’alto nell’ordinarietà di ciò che penso, dico e faccio, ora dopo ora,è la gioiosa fatica del vivere. Vuol dire che l’essere amato deve farsi visibile e tangibile nel modo in cui mangio, bevo, parlo, gioco e lavoro.
Domande per la condivisione
- Cosa vuol dire che l’essere amato deve farsi visibile e tangibile nel modo in cui mangiamo, beviamo, parliamo, giochiamo e lavoriamo?
- Perché è uno sbaglio aspettare che siano gli altri, la società, i genitori a risolvere i miei problemi?
- Questa frase è importante perché: “Nessuno può dare senso alla nostra vita se non ha convinzione di essere amato. Noi siamo gli amati. Siamo intimamente amati, assai prima che i nostri genitori, insegnanti, coniugi, figli e amici ci abbiano amati o offesi”. PRENDI LO ZAINO
«Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. 2Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
A – Ora mi è chiaro: sono chiamato perché amato. La mia vita ha un senso solo se rispondo a Colui che mi ama e che mi chiama. Che devo fare?
P – Rispondere. Metterti in cammino. Uscire da se stessi per ancorarsi sempre più saldamente a Dio”, è la concreta risposta di chi si sente amato. Questa persona che esce da sé, è il pellegrino che si fida di chi lo chiama e lo ama. L’unica sua certezza è la parola che lo chiama. La sua bisaccia , vuota di cose, è piena dell’amore che lo spinge ad andare avanti.
A – Nel concreto cosa significa essere pellegrino?
P – La domanda è interessante. Vuol dire camminare ascoltando. Dal momento che Gesù ha posto al sua tenda nella storia, l’uomo è abitato da Colui che lo ama. E’ compagno di viaggio, pellegrino con Colui che si è fatto pellegrino dell’uomo. Il pellegrino quando prende coscienza di questo evento successo, ascolta. Vive la certezza di essere amato e sceglie, come stile di vita, di camminare nel tempo sapendo che non ha “nel tempo che passa” e nella “ storia che si consuma” la sua stabile dimora. Anzi ha la consapevolezza che da quando Dio ha posto la tenda tra di noi, lui stesso è chiamato a essere tenda di Dio, abitazione Sua nella storia che vive. La sua vita, il suo pellegrinare nel tempo, consisterà nel piantare, abitare e dilatare la tenda.
A – Leggevo recentemente che : “Da tempo l’uomo ha bruciato la bisaccia e il bastone del viandante, l’uomo ha rinunciato ad essere pellegrino; vale a dire l’uomo ha rinunciato a capire che la vita è un cammino verso il destino infinito, con la sua commovente attitudine alla domanda. La dimora dell’uomo,cioè il modo di concepire e di comportarsi, non è più l’orizzonte ma il nascondiglio, dove non incontra nessuno, e dove però comincia a dubitare della sua esistenza”. ( Antonio Socci)
P – Vero. Non devi meravigliarti di questo. Il pellegrino sa di non essere sempre accolto, anzi viene rifiutato, come è successo a Gesù. E’ consapevole inoltre che, molti uomini rassegnati non salgono con il passo del pellegrino la montagna della libertà, ma vanno tristi, con il passo dei turisti o vagabondi verso la tana della rassegnazione o della fuga.
A – In concreto che devo fare?
P – Se hai capito di essere l’amato, ascolta e cammina. Ora io mi tiro da parte, ti lascio un libretto sul quale troverai le indicazioni per transitare dal Tabor al Calvario e sperimentare la gioia della Pasqua. Buon cammino.
Domande di provocazione:
- E’ vero che da tempo l’uomo ha bruciato la bisaccia e il bastone del viandante, l’uomo ha rinunciato ad essere pellegrino? Perché?
- Perché il pellegrino quando prende coscienza essere amato si pone in ascolto?
- La dimora dell’uomo non amato è la gabbia, il nascondiglio. Quali le conseguenze?
Il pellegrino progetta LA TENDA perché chiamato
Testo guida: Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli
[36] e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”.
[37] E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
[38] Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”.
[39] Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
[40] Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.
[41] Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)”
[42] e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”.
[43] Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi”. (Gv.1,35-4335)
“E’ bello per noi stare qui: facciamo tre tende”. Questa espressione di S. Pietro, pronunciata nello stupore del Tabor, è stata tante volte ripetuta dai giovani alla fine della Tendopoli. Perché dopo tanti giorni di fatica, di lavoro, di studio e di preghiera, dal nostro cuore prorompe prepotente questo grido? Per lo stesso motivo per cui lo gridava Pietro. Cosa era successo a quel pescatore della Galilea e ai suoi colleghi Giacomo e Giovanni? Si erano fidati di Gesù e lo avevano seguito senza chiedersi dove andavano e che facevano. La prima cosa che era accaduta loro: una Chiamata prepotente:
«UN INVITO CHE NEL PROFONDO DEL LORO CUORE DAVA DELLE GARANZIE. SI ERANO ACCORTI CHE QUEL GESU’ DI NAZARETH LI AVEVA PRESI SUL SERIO, COMPROMETTEVA LA SUA VITA CON LORO ».
Alla domanda che nasceva dal loro cuore desideroso di verità: «Signore dove abiti?» Si sentirono rispondere: «Venite e vedrete». Dinanzi ad un invito serio rispondono seriamente. Seriamente vuoi dire non vivere la vita senza compromettersi, ma rischiare con verità. In quella Persona che seguivano, nelle parole che diceva, sentivano compresa e realizzata tutta la loro esperienza umana, sentivano i loro bisogni presi sul serio e portati alla luce là dove erano inconsapevoli e confusi.
Gesù è il loro Tabor, è la manifestazione di ciò che il loro cuore desidera. E’ l’ideale reso visibile. E’ il progetto che si rivela. Gesù concretamente viene incontro alle loro esigenze, ai loro bisogni: è bello perché è vero quello che vivono. «La Tendopoli — mi diceva un giovane — è bella perché si vive con verità». Come Cristo arriva dove i discepoli desideravano così la Tendopoli fa sperimentare le aspirazioni più vere dei giovani. Il cuore dei discepoli come quello dei giovani, trova in Cristo una risposta, perché nel profondo aspettano qualcosa, perché si sentono mancanti e limitati.
Domande per la discussione
- Quali sono i motivi per cui si decide di vivere la vita come pellegrini, nella Tenda?
- Cosa significa l’espressione: Nella persona che seguivano, nelle parole che diceva, sentivano compresa e realizzata tutta la loro esperienza umana?
- Ci può essere qualcuno che risponde alle tue esigenze profonde al di fuori di Gesù? Perché Gesù è la risposta a questi profondi desideri dell’uomo?
Rifletti:
Voi siete la tenda di dio e lo Spirito abita in voi (1Cor3,16)
E’ innegabile che l’inizio del cammino dei pellegrini è molto simile al cammino dell Spirito sulla realtà appena creata ( nube). La realtà spesso si presente informe, deserta,e avvolta nelle tenebre. Non si può pretendere di piantare una tenda nel cuore del fratello o nella Parrocchia senza prima prendere coscienza della realtà. La pretesa di trovare un terreno fertile e accogliente toglierebbe il significato all’esperienza della tendopoli.. Concretamente senza meravigliarsi più di tanto dentro la nostra realtà occorre starci. Starci non con l’atteggiamento critico e diffidente, marginale o turistico, ma con il cuore dinamicamente proteso a guarire la realtà. Le cose informi sono tante:siamo noi non ancora formati ed equilibrati,sono il gruppo in continua formazione, sono la parrocchia spesso in difficoltà,forse è anche la famiglia in continuo divenire, la realtà non può non essere informe. Dobbiamo noi renderla “ formosa”. Siamo chiamati proprio in forza della nostra esperienza cristiana ad essere portatori dello Spirito,a diventare dono dello Spirito ai fratelli,a camminare nell’informe per dare le forme (Relazione XXIII Inc.resp.Montesilvano 1997)
Mentre risponde il pellegrino costruisce la propria tenda
Testo guida: Geremia (Gr 1,4-1])
[5] “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”.
[6] Risposi: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane”.
[7] Ma il Signore mi disse: “Non dire: Sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò
e annunzia ciò che io ti ordinerò.
[8] Non temerli, perché io sono con te per proteggerti”. Oracolo del Signore.
[9] Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca e il Signore mi disse:
“Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca.
[10] Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”.
L’atteggiamento di Geremia mi sembra estremamente vero e sincero. L’unico degno per un uomo che si sente chiamato. E’ la percezione della inadeguatezza al campito. Ma contemporaneamente dal brano emerge che la realizzazione del pellegrino, la sua crescita dipende da alcune parole: “Non dire: Sono giovane, ma và da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti.” Quindi Gerema mi sembra una persona estremamente seria, perchè seriamente si pone davanti ad una scelta. E’ importante prima di tutto per essere pellegrini, e di conseguenza per poter portare e piantare la Tenda, impostare seriamente il problema umano. Impostarlo seriamente vuol dire capire il significato dei gesti che facciamo, accorgersi delle esperienze che viviamo, prendere sul serio quello che proviamo. Concretamente se l’uomo risponde con coerenza e serietà alle domande perché vivo? – Perché sto con una ragazza? – Perché lavoro ? – Perchè gioco? – Perchè vado in discoteca? Vive il problema umano in modo serio. Se invece si lascia trascinare dalla corrente, dalla moda, dalla dissipazione vive una vita priva di significato, vuota la sua vita, non vive.
L’Uomo è come un “inquilino” dentro lo scompartimento di un treno, che dall’origine del mondo cammina e solca la storia. Dentro questo scompartimento la vita si può vivere in due modi: seriamente o in modo banale. Da vagabondo o da pellegrino.
– Seriamente (da pellegrino) quando l’uomo si chiede: perché è nello scompartimento, da dove viene il treno e dove è diretto e progetta la sua vita in conseguenza.
– Banalmente (vagabondo) quando l’uomo si accontenta di sopravvivere nello scompartimento, cercando i compromessi con i compagni di viaggio e subendo l’in- coscienza dell’esistenza, o peggio ancora non sapendo la meta del treno.
Il pellegrino allora solo nella tenda ( la verità ospitata dalla mia povertà) trova la sua consistenza, perché viene messa continuamente alla prova dallo scorrere del tempo.
– Il pellegrino non si può appoggiare alle strutture perché la struttura della tenda la conosce solamente lui, anzi lui stesso è la tenda, Lui solo conosce la verità della sua vita.
– Il pellegrino non può confidare nelle ideologie, perché nella “fatica di portare la tenda” la inconsistenza e l’inganno di queste proposte vengono smascherate dalla concretezza della vita.
– Non può illudersi neanche dei suoi sentimenti, dei suoi gusti, delle sue voglie, perché la tenda richiama costantemente alla realtà e alla quotidianità. La vita è una cosa seria e nella tenda la serietà della vita viene continuamente verificata. La vita del pellegrino è vera perché vissuta come RISPOSTA. La vita invece del vagabondo si caratterizza dalla e PRETESA che genera angoscia.
Domande per la discussione
- I gesti che compi in che misura sono vissuti con responsabilità e serietà?
- Ti senti nello scompartimento, adattato al sistema o in te c’è la fatica della ricerca del significato della vita?
- La vita è una tenda che si pianta, si sposta, si rompe, prende l’acqua ed il sole sulla montagna della tua Parrocchia, starci dentro nonostante tutto, è vivere seriamente la vita: c’è in te questo lavoro di pellegrino?
Testo di confronto
VIVIAMO PER RISPONDERE A DIO. Questo è il punto di partenza della nostra catechesi, che si contrappone alla logica del “ faccio quello che mi pare” Cosa comporta l’espressione rispondere a Dio? Comporta la coscienza che siamo stati eletti, che siamo stati chiamati, che siamo oggetto di una scelta. SIAMO STATI SCELTI. Sradicati da una condizione di esuli a quella di santi. DA VAGABONDI A PELLEGRINI. Siamo stati scelti e quindi abitati, non perché lo meritavamo,ma solo per amore.Ci viene chiesto di rispondere a questa scelta di amore con l’amore.
Il fatto che siamo stati chiamati a credere ci obbliga ad avere un’idea chiara di cosa significa credere. La fede non è un sentimento,non è uno stato d’animo, la fede non è neanche un atteggiamento. LA FEDE E’ UN’INTELLIGENZA. E’ un leggere dentro il mistero della vita e della storia. FEDE E’ RICONOSCERE UNA PRESENZA DENTRO L’ESPERIENZA, DENTRO UNA STORIA.
SIAMO STATI SCELTI PER SCOPRIRE ED ANNUNCIARE,DENTRO IL TEMPO E DENTRO LO SPAZIO,IN QUESTO VESTIBOLO DELLA STORIA,IN QUESTO VESTIBOLO DELL’ETERNITA’ CHE E’ LA STORIA,CHE GESU’ CI ABITA E DOBBIAMO RENDERLO EVIDENTE. Per realizzare tale evidenza è necessario vivere in un atteggiamento di attenzione e di accettazione dell’evento successo.
(RELAZIONE XLV INC.TEST. GENNAIO 2009)
Il pellegrino: nella tenda aspetta.
Testo guida (Dt.8,1-5)
Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. [3] Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. [4] Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni. [5] Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge te.
Il testo proposto come riflessione ci offe diverse provocazioni per comprendere il cammino del pellegrino che si caratterizza perché è in cammino, perché vive di una attesa dinamica:
- “Ricorda il cammino che ti ho fatto percorrere in questi 40 anni”. Il cammino di crescita per essere pellegrini autentici è lungo. Non è facile camminare nel deserto del quotidiano. Durante la Tendopoli l’espressione «è bello stare qui» risuona vera perché è stata gustata e vissuta, perché si sono realizzate due condizioni fondamentali: «un’autentica esperienza umana — vissuta nella verità della precarietà», che nel quotidiano della Parrocchia non sempre è facile ricreare, anzi si possono trasformare in pericoli per un cammino.
Il primo pericolo che si corre nel cammino del deserto, è di confondere la «nostra autentica esperienza umana, la verità della nostra vita con impressioni parziali, con sentimenti superficiali e non globali». Il rischio che si corre è di agire seguendo quello che immediatamente ci gusta e ci piace, perdendo di vista la globalità della vita. La gioia della vita non sta nel fare quello che ci gusta, ma nel fare con gusto quello che sentiamo vero nel profondo della nostra esperienza umana.
Il secondo pericolo è quello di «confondere gli autentici gesti umani con dei pregiudizi precostituiti e non verificati». Agire seguendo schemi creati dall’ambiente e dalla cultura predominante — magari inconsapevolmente — per cui invece di aprirci all’attesa, «all’attenzione sincera di dipendenza che profondamente l’esperienza umana suggerisce ed esige — come di fatto accade durante la Tendopoli — noi imponiamo all’esperienza categorie e spiegazioni che la bloccano.
- Per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore. Questo è il metodo di Dio per educare l’uomo ad essere un vero pellegrino che sa attendere perché percepisce la dipendenza. L’uomo nella tenda percepisce fondamentalmente questa dimensione di attesa e di dipendenza. Il cammino dell’uomo della tenda è sempre determinato dalla luminosità del cielo e dalla praticabilità della terra! Aprire la tenda per vedere che tempo fa, interrogare con gli occhi il cielo e toccare con mano la terra su cui bisogna poggiare i piedi per un cammino, è un gesto che nella vita deve segnare tutti i nostri comportamenti se, veramente, vogliamo viverli con serietà e responsabilità.
Domande per la discussione
- La tua vita la vivi facendo quello che ti gusta o facendo con gusto quello che senti vero nel cuore?
- Fino a che punto le ideologie, la mentalità, la cultura predominante, influenzano le tue scelte?
- La tua vita la vivi come attesa o come pretesa?
Il pellegrino con la tenda: DALL’ IMPOTENZA ALLA DISPONIBILITA’
[9] E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”.
[10] Allora i discepoli gli domandarono: “Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?”.
[11] Ed egli rispose: “Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa.
[12] Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, l’hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro”.
[13] Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.
Terminata la Tendopoli, sistemate le tende, i giovani prima di caricarsi il pesante zaino sulle spalle, passano a salutarmi e tutti, più o meno commossi, mi ripetono le stesse parole: «Adesso come facciamo a donare questa esperienza ai nostri fratelli?» oppure «Aiutaci a poter continuare nelle Parrocchie questo che abbiamo vissuto».
Perché nei giovani emerge questa domanda? Stando a quello che dicono i sociologi dovrebbero partire tutti sparati pronti a riformare famiglia, Parrocchia e il mondo intero, mentre fondamentalmente dopo un’esperienza seria hanno paura, si sentono soli, cercano appoggi fuori di loro. Questo stato d’animo non è esclusivo della Tendopoli; l’ho riscontrato nei giovani che frequentano Taizé, come nei giovani che vivono l’esperienza di Fratel Carretto e in genere in tutti i giovani quando seriamente vivono un’esperienza di fede. Perché accade questo?
La risposta l’ho trovata nelle parole di Gesù: «E mentre discendevano dal monte ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione finché il figlio dell’uomo non sia risorto dai morti» (Mt 17,9). Queste parole avranno certamente gelato l’entusiasmo di Pietro e dei suoi amici. Rimangono perplessi e senza comprendere. Sperimentano di essere stati oggetto di un grande dono che prima di rivelarlo devono aspettare la verità della Croce. Percepiscono che la possibilità di far dono agli altri di quello che hanno vissuto dipende dalla Resurrezione di Gesù. La possibilità di dare dipende da un Altro! Sperimentano l’impotenza più assoluta. Per comprendere bene questo passaggio riflettiamo su quello che accadde a Mosè:
Ora và! Io ti mando dal faraone. Fà uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”.
[11] Mosè disse a Dio: “Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall’Egitto gli Israeliti?”.
[12] Rispose: “Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte”.
[13] Mosè disse a Dio: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?”.
[14] Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi”.(Es 3, 10-14)
Mosè percepisce la sua povertà e il suo limite. Chiede con forza spiegazioni alla proposta di Dio. Più nella vita ci si accorge dei propri limiti, della realtà che viviamo, più si scoprono i bisogni della Parrocchia, della Chiesa, più ci si accorge che questi problemi non possiamo risolverli da soli. «Il senso di impotenza accompagna ogni seria esperienza di umanità». E’ questo senso di impotenza la spiegazione delle parole dei giovani, al termine della Tendopoli o di ogni seria esperienza di fede. Lo stesso atteggiamento lo sperimentò Geremia: «Ahimé, Signore, io non so parlare perché sono giovane» (Ger 1,6). Mosé: «Chi sono io per andare dal Faraone» (Es 3,11). Lo visse la Madonna: «Come è possibile, non conosco uomo?» (Le 1,34). Dinanzi all’impotenza dell’uomo c’è la certezza di un Dio che dà la vita per noi. «Non temere. Lo Spirito Santo scenderà su dite» (Le 1,35). «Vai a coloro che ti manderò perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8). A Mosè preoccupatissimo e consapevole della sua povertà assicura con decisione: «Io sarò con te» (Es 3,11). L’impotenza dell’uomo diventa disponibilità per la potenza della Croce.
Domande per la discussione
- Perché ogni seria esperienza umana è accompagnata da un senso di impotenza?
- Quali sono le esigenze profonde del tuo cuore che ti accorgi di non poter risolvere da solo?
- Percepirsi impotenti a risolvere tutti i problemi fondamentali della vita, perché è un fatto positivo?
L’incontro con Gesù genera il vero pellegrino
Dopo questi fatti, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade,
[2] e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi.
[3] Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
[4] Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
[5] Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: “Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”.
[6] Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare.
[7] Gli rispose Filippo: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”.
[8] Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:
[9] “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”.
[10] Rispose Gesù: “Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini.
[11] Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.
[12] E quando furono saziati, disse ai discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto“. (Gv VI, 1.15)
“ Gesù passò all’altra riva”Il testo si pone in un contesto prettamente dinamico ed esodale. Giovanni con rimandi biblici evoca Mosè, il deserto e il pellegrinaggio verso Gerusalemme. Gesù viene presentato come il vero, nuovo Mosè che la gente segue. E’ IL PELLEGRINO PER ECCELENZA.
La prima consapevolezza che un pellegrino deve avere, ma ogni tendopolista deve poi concretizzare, è operare una scelta di fondo per la quale “camminare dietro Qualcuno che mi chiama, è meglio che stare fermi”. Ci siamo messi in cammino perché abbiamo sentita vera nel cuore una parola o un incontro ci ha rivelato sconosciuti orizzonti. Nel nostro cuore è sgorgato il grido” è bello per noi stare qui facciamo tre tende”…è proprio dei pellegrini questa esperienza di stupore e di amore. Il primo punto fermo che il pellegrino deve interiorizzare è che la vita è un cammino, una scelta,intesa come risposta a Qualcuno che chiama.
“Salì sulla montagna” Vista la folla che lo seguiva, Gesù salì sulla montagna. La montagna è, contrariamente a quanto si pensa, il luogo sicuro per eccellenza, è come il deserto,dove è necessario recarsi se si desidera stare con Dio e vivere una esperienza di Lui. Le 99 pecore, secondo i sinottici, furono lasciate nel deserto o nella montagna perché sono al sicuro. L’elemento che emerge è comprendere che non esiste vero pellegrino senza la scelta di andare in salita.. LA SALITA E’ LA FATICA PER SCOPRIRE LA BELLEZZA INTRAVISTA DA LONTANO. Il secondo punto fermo, estremamente importante, che il pellegrino deve gradualmente interiorizzare, è che seguire il Signore significa prendere ogni giorno la propria “ salita”, intesa come responsabilità.
“Vide che una gran folla veniva da lui…dove possiamo trovare …” Emerge la situazione del bisogno disperato della gran folla. Gesù se ne accorge per primo e lo fa notare a Filippo, con una domanda provocatoria. La questione, per l’interpellato, si ferma ai soldi, ma è chiaro che non riguarda i soldi. Andrea propone una soluzione al problema: cinque pani e due pesci tutta la sua disponibilità, inadeguata comunque. Il pellegrino vede una necessità, un’urgenza che lo ha spinto a seguire il Signore. Sentire la fame, e questuare un po’ di pane, è una tappa decisiva e comune nell’esperienza del pellegrino; sperimentare di aver bisogno di un pezzo di pane per camminare sul sentiero della vita, è percepire la nostalgia di un Altro, che ci si propone come amore e come dono, e genera il cambiamento: “ mi alzerò e andrò da mio Padre”. Perché poveri ci si mette in cammino. Gesù chiede ai discepoli di far sedere le persone. Il terzo punto fermo che il pellegrino deve interiorizzare è che segue qualcuno perché ne ha bisogno: è una necessità. Si sente povero. Solo chi percepisce il disagio del momento cerca qualcosa oltre il momento.
“Dategli voi stessi da mangiare” Anche se questa frase non è riportata da Giovanni, nei sinottici è molto chiara. Sono loro, i discepoli e quindi, il pellegrino diventato testimone, che deve dare da mangiare a loro, anzi deve dare sé stesso da mangiare … deve diventare cibo, nutrimento degli altri.Il pellegrino ha bisogno di sostegno e di nutrimento. La comunità, che lo ha accolto ed educato alla fede, deve sentire questa responsabilità. Far sperimentare ai giovani che Gesù è pane di vita, il nutrimento spetta a coloro che lo hanno già sperimentato.
Il quarto punto fondamentale nella formazione del pellegrino è dargli la certezza del cammino. Il coraggio non è mai ucciso da un avvenimento negativo, ma dal dubbio. Dare certezze di metodo e di contenuto ai pellegrini e in genere ai cristiani, è compito della comunità.
“ la gente vuole farlo re….lui fugge” La fedeltà del Signore alla sua missione è sconcertante…la gente sazia lo vuole fare re, lui scappa, si nasconde. La volontà del Padre è più importante della volontà degli uomini. Va oltre. Marcia con decisione verso al volontà di Dio. Diventa prototipo del pellegrino che deve cercare sempre e solo la volontà del Padre. Passare tra le cose degli uomini,dare il proprio pane, la propria vita e non fermarsi ma andare avanti, oltre gli orizzonti dell’uomo, è la vocazione dell’itinerante.
Il pellegrino si caratterizza: perché passa all’altra sponda, cammina nel deserto, ascoltando la Parola e questuando il pane che viene dall’alto, e diventando pane per coloro che incontra.
Il pellegrino NELLA TENDA: SOLO PER ANDARE IN ALTO
[21] “Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola.
[22] Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!”.
[23] Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.
[24] Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande.
[25] Egli disse: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori.
[26] Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve.
[27] Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.
[28] Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove;
[29] e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me,
[30] perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele. (Le 22, 21-28)
Il pellegrino nella sua crescita deve sperimentare anche una reale impotenza, deve sentirsi solo per decidere da solo se seguire il Dio solo. Mi trovavo in Polonia. Era il 9 agosto 1980. Nella notte tra il terzo ed il quarto giorno del pellegrinaggio a piedi da Varsavia a Czestochowa, mi sorprese nella tenda un furente temporale. Mi si ruppe la piccola canadese e l’acqua riempiva la mia povera abitazione. Mi sentii perso! Nel buio della notte, nell’imperversare del temporale, non sapevo che fare. Sperimentai la più sconcertante impotenza. Ero spaventosamente al buio, gelato dal terrore della solitudine: la solitudine vera «non è data dal fatto di essere soli fisicamente, quanto dalla scoperta che un nostro fondamentale problema non può trovare risposta in noi o negli altri». E’ evidente quindi che il pellegrino, come Gesù, più vive seriamente il cammino, più si sente solo e spesso sperimenta anche il tradimento dei compagni di viaggio. E’ una esperienza fondamentale della vita: ogni serio impegno con la propria umanità porta con sé sentimenti di solitudine.
Quante volte ho raccolto le parole e spesso le lacrime di giovani che mi dicevano «sono solo», solo perché forse avevano riposto la risoluzione del loro problema in una ragazza o in un ragazzo, nel lavoro o nella professione, nel successo o nella stima degli uomini, che nel momento meno pensato si sono allontanati, si sono rotti come la mia povera tenda nell’ imperversare della bufera.
Gesù asserisce, nel testo citato, «che non sarebbe stato riconosciuto». Il Salvatore sperimenta la più terrificante solitudine: il rifiuto degli uomini e l’incomprensione dei suoi stessi discepoli. Non si attendeva dagli scribi o dai farisei, dai potenti e dai dotti del tempo una risposta ai suoi profondi problemi di Salvatore. Solo nel Padre trova compagnia e Pace. Nell’impegno della tua Parrocchia non potrai non sperimentare questa solitudine, perché è l’unica condizione per cercare altrove, in alto, la risposta piena alle tue profonde esigenze.
Il tuo ambiente, i tuoi fratelli, la tua comunità, la tua stessa persona, il tuo Parroco, sono il luogo dove sei chiamato a piantare ogni giorno la tua Tenda, a trovare spazi di solitudine per ricercare il Signore Dio: l’unico che può risolvere i tuoi problemi. Nel
Calvario del tuo quotidiano, la tua Tenda si deve spostare, aspettando solo e sempre da Dio che completi l’opera per te. Solo nella solitudine dell’impotenza vissuta nella profondità del proprio essere, l’uomo può esclamare: «Signore da chi andremo, tu
solo hai parole di vita eterna».
Domande per la discussione
1 – Perché un serio impegno con la propria umanità porta con sé un sentimento di solitudine?
2 – Nella tua vita ci sono tante situazioni che ti hanno fatto sentire di essere solo e ti hanno fatto appoggiare a Dio?
3 – Il tuo ambiente, la tua Parrocchia, la tua stessa persona, il tuo Parroco, perché sono il «donoCalvario» dove devi piantare la tua Tenda?