Presentiamo di seguito alcuni spunti dalla relazione Le periferie cambiano la storia che il Prof. Sergio Tanzarella, docente di storia cristiana antica e contemporanea, ha tenuto in tendopoli il 22 agosto 2014.
Relazione "Le periferie cambiano la storia".
Relatore Sergio Tanzarella, professore di storia cristiana antica e storia contemporanea
Il titolo e gli argomenti di questa Tendopoli sono totalmente fuori moda perché di solito ci si interessa del centro. Avete mai notato che non ci sono mai cartelli che indicano le periferie? Solo quelli per il centro. Il nostro è quindi un argomento senza cartelli: in periferia nessuno ci va mai.Mi occupo di storia e la storia normalmente si occupa di morti, delle cose del passato. È però una disciplina pericolosa perché RICORDA e TRASMETTE. Soprattutto se si tratta di ricordi pericolosi che possono far male.
Nel regno del Grande Fratello, in 1984 di Orwell, si dice che chi governa deve anche controllare il passato attraverso la sua trasmissione, in modo da poter governare il presente e controllare il futuro. In questo libro, giornali e informazioni sono alterati e modificati, le persone fatte sparire, la realtà modificata per controllarla. Ci sono infatti due combinazioni opposte di termini: "Periferie-cambiamento-storia" e "Centro- conservazione- cancellazione del passato". E noi, in quale terna ci troviamo inseriti? Viviamo in una lacerazione tra centro e periferie?
Una punto importante per noi è cercare con cura il senso della vita e questo spesso si rivela nei luoghi meno ufficiali. Non nei parlamenti, non nell'ufficialità, ma nelle periferie, là dove la vita è spezzata e legata. Dobbiamo capovolgere il nostro modo di pensare cercando il senso nelle più piccole comunità, nelle chiesette di periferia, negli incontri apparentemente insignificanti. Lo stesso vale per la storia. Quale storia abbiamo sempre studiato? Quella ufficiale dei libri di testo, tra imperatori, re e regine, Papi, guerre, paci, ricchi, nobili. Ma la storia è questa? No. Gli storici dovrebbero occuparsi della storia minuta, quella che chiamiamo dei "marginali", delle periferie appunto. Lo stesso vale per la storia della chiesa, che è quella del popolo di Dio, dei credenti, dei gruppi, dei marginali. Non vi dico di strappare le pagine di storia ma di aggiungerne altre, di aggiungere quelle che riguardano le periferie. La periferia può essere scuola di vita, base di un percorso di liberazione che non è una parola magica, ma va compresa attraverso la parola "percorso", attraverso qualcosa che si deve compiere e condividere. Non si impara da soli, nè si cresce da soli. C'è bisogno di qualcuno che ci abbia a cuore, che sogni per noi, che pensi a noi.
Ci sono storie di periferia che mostrano come essa cambi il protagonista, le persone che lo circondano, e come ponga una proposta di cambiamento anche per noi che ne leggiamo e parliamo. La periferia di partenza è quella di Gesù: "Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?", si legge nel Vangelo di Giovanni. La storia di Gesù e del cristianesimo è una storia di periferia, che nasce lì e arriva fino al centro dell'impero nel giro di qualche secolo. Si tratta di marginali che capovolgono il centro.
Poi c'è la storia di Franz Jagerstatter (1907-1943) beatificato qualche anno fa. Nato in un paese sperduto dell'Austria, era un contadino che aveva letto tanti libri. Al momento di votare per l'annessione dell'Austria, con più di mille persone escluse dal voto, tra ebrei e oppositori politici, con voto palese e pilotato a favore dei tedeschi, scelse di opporsi. Dalla periferia di un piccolo paese iniziò l'opposizione di un contadino a Hitler che proseguì nel suo rifiuto di prestare servizio militare per l'esercito tedesco. Fu arrestato, processato e decapitato. La cosa straordinaria è che scriveva alla moglie anche dopo la condanna, nonostante le lettere non potessero essere consegnate. Lui lo faceva con una matita su pezzetti di carta, che il custode del carcere decise di conservare e sotterrare. Ritrovate anni dopo, furono consegnate alla moglie che poté leggerle tutte insieme. Dalle periferie arriva quindi una lezione: non bisogna legare la coscienza. "Tu cosa ne capisci?", gli chiedevano nei processi. E lui rispondeva che come cristiano e secondo la sua coscienza sapeva di no poter servire Hitler. È arrivato la dove gli intellettuali, il centro della conoscenza, non erano arrivati.
La terza storia è quella di don Lorenzo Milani (1923-1967), giovane prete fiorentino che, mandato in un borgo vicino Firenze, si occupava dei giovani che non sapevano leggere e scrivere, facendogli scuola. Metodi non apprezzati, non tradizionali, a causa dei quali fu spedito nel luogo più periferico della diocesi di Firenze, con case lontane anche più di 10 chilometri dalla chiesa. I genitori cercarono di farlo avvicinare e lui, al contrario, comprò una tomba al cimitero del paese (dove è sepolto). Ai genitori scrisse "la grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui s'è svolta, ma da tutte altre cose. E neanche le possibilità di far del bene si misurano sul numero dei parrocchiani".
La quarta storia è quella di Danilo Dolci (1924-1997), un triestino che in un paese sperduto della Sicilia, oppresso dal controllo della Mafia, diede vita ad una rivoluzione basata sul principio della presa di coscienza, chiedendo a contadini e pescatori "come possiamo uscire da questa povertà?". Era convinto che tutti potessero trovare soluzioni e idee e che bastasse dargli la parola, la possibilità di esprimersi. Fu più volte arrestato nella sua opera di coscientizzazione per le sue azioni dimostrative nel reclamare la terra non coltivata per i contadini: semplicemente li riuniva li faceva lavorare. E per questo lavoro gratuito venivano arrestati.
Ultima storia della serie è quella di Don Peppino Diana, ucciso nel 1994 dalla Camorra, a Casal di Principe, nella periferia del casertano. Lì, all'ennesimo funerale di un ragazzo ucciso, decise di prende la parola apertamente e condannare la camorra che al centro non era percepita ma che invece si viveva e sentiva in periferia. In quella stessa periferia dove, per aver parlato apertamente, è stato ucciso cinque minuti prima della messa con colpi di pistola al volto per assicurarsi che morisse e per la quale, nel Natale 1991, ha creato una lettera intitolata "Per amore del mio popolo", una risposta alla rassegnazione, una risposta a noi che ci aspettiamo che le indicazioni arrivino dal centro, dalle leggi e dallo Stato. Queste storie ci raccontano che per trovare ciò che cerchiamo dobbiamo andare nella vita di chi vive la periferia, di chi si spezza per la periferia. Il contrario della speranza, infatti, non è la disperazione, ma la rassegnazione. Si può avere speranza se si è disperati, non la si può avere se si è rassegnati. Non si può essere neutrali. Giovani, non lo siate! Prendete posizione, rispondete alla coscienza, formatela attraverso l'esperienza della periferia, che ci permette di liberarci, di formarci umanamente e di fornire un servizio.