Quando P.Francesco mi telefonò per chiedermi disponibilità a rappresentare i giovani della Tendopoli al Convegno Ecclesiale Marchigiano, accettai un po’ titubante, non sapendo nemmeno bene in quale affare mi ero andato a “ficcare”. Non nego che più di una volta pensai di tirarmi indietro, ma per spirito di appartenenza e responsabilità ( e per non subire il “cicchetto” di P.Francesco!!!) con l’animo ciondolante mi apprestavo a partecipare a questo Convegno, sperando che, un po’ come dal dentista, fosse rapido ed indolore. E come spesso accade, è proprio quando pensi che non possa venir fuori niente di buono, quando pensi che niente potrà nascere, quando le premesse non sono consone alla Promessa, è proprio allora che si manifesta il Signore.
Nonostante il mio umore non fosse dei più ben disposti, già al mio arrivo a Loreto, sede del Convegno, potei respirare un’aria diversa, più leggera, che faceva ben sperare. Una volta arrivati e sistematici nelle camere messe a disposizione dalle diocesi, siamo partiti alla volta di Ancona, dove sono iniziati i lavori del Secondo Convegno Ecclesiale Marchigiano, dal titolo molto “padrefranceschiano”, passatemi il termine, “Alzati e va’…”(Atti 8, 26-40) ; lo scopo del Convegno è stato: Vivere e trasmettere oggi la fede nelle Marche.
Al nostro arrivo al Teatro delle Muse, abbiamo ascoltato i saluti delle autorità civili (Sindaco di Ancona, Presidente della Regione, Magnifico Rettore dell’Università di Ancona etc) seguiti dal saluto di S.E. Mons. Luigi Conti, Vescovo di Fermo e Presidente della CEM (Conferenza Episcopale Marchigiana). Nel suo breve intervento Mons. Conti ha elencato i passi che hanno portato a questo Secondo Convegno Regionale; un primo punto è stata l’urgenza dell’annuncio missionario del Vangelo: non possiamo più presupporre la Fede, ma siamo chiamati a proporla. Un secondo punto è stata la quotidianità, la capicità delle comunità locali nell’intercettare il cammino della gente,la solitudine, le ferite, ma anche le speranze il desiderio di Dio e la ricerca di senso nella vita di ogni giorno. Ma per iniziare, non si poteva che partire dalla Parola, metterci all’ascolto di Dio; e il passo che ha accompagnato i nostri pensieri ed il nostro discernimento è il brano degli Atti degli Apostoli (At 8, 26-40): l’incontro tra un eunuco, funzionario della regine d’Etiopia, e il diacono Filippo, a cui un angelo del Signore dice: “Alzati e va’ verso mezzogiorno lungo la strada…essa è deserta. S.E. ci ha poi richiamato all’attenzione nel leggere i segni dei tempi per prendere atto della storia e anche per cogliere la direzione che Dio ci sta indicando e i segni di speranza per che sta suscitando.
Il momento, a mio avviso, più interessante, è stato l’intervento del Cardinale Angelo Bagnasco; nella sua prolusione, con semplici parole ha ricordato, a me e a tutti i presenti, che la Fede è innanzitutto un dono e una relazione d’amore, che nasce da un incontro con Dio che ci si svela e che illumina la nostra vita. Non è un fatto privato, in quanto nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio; crea dunque comunità. E non ci estranea dalla storia, ma si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. Nell’illustrare poi quali saranno i fini del Convegno, Bagnasco ci ha fornito degli strumenti, delle vie da seguire nei lavori che ci avrebbero atteso il giorno dopo; in particolare ha sottolineato come, ancor prima di “Alzati e va’…” la Chiesa deve “stare”: stare con il Signore, porre lui al centro delle nostre vite. Senza questo la Chiesa non è altro che uno ONG, come ci ricorda anche Papa Francesco. Ma subito dopo l’invito è quello di alzarsi e andare: “quando la fede è ardente e scalda il cuore, allora diventa contagiosa e scalda il mondo”. Ci mette inoltre all’erta dal “virus dell’individualismo” il quale svuota il suolo umano di relazioni, legami, responsabilità, rendendolo, così, sabbia; in nome dell’autonomia assoluta, l’uomo non si è trovato più libero, ma piuttosto prigioniero di sé stesso e quindi tristemente solo, in quanto, quando i rapporti umani si allentano e l’Io si insedia fino ad avere il primato esclusivo, gli altri sono percepiti non più come prossimo, ma come estranei, alieni e potenziali avversari: il nucleo di ogni follia. Un altro rischio, da cui il Card. Bagnasco ci mette in guardia, è la possibilità di distinguere, quasi come una dicotomia, i due aspetti del tema “vivere e trasmettere la fede”; non basta vivere con autenticità il Vangelo come se ciò fosse sufficiente per la diffusione dello stesso, né si può insistere sulla trasmissione della fede, dando quasi per scontato ciò che non può mai esserlo, ossia la coerenza della vita cristiana. Infine ci ricorda che “il primo atto missionario è vivere in modo missionario la Pastorale ordinaria, senza perdersi nelle lamentele (sembra proprio P.Francesco!!!!); ci invita ad una maggiore presenza, individuale e comunitaria, non solo di laici ma anche di religiosi; una presenza umile e discreta, fraterna e costante nei luoghi di lavoro, della scuola, dell’Università, dello sport e del tempo libero, negli ospedali e nelle carceri; bisogna sciogliere pregiudizi e rigidità, entrare in punta di piedi, con disponibilità e discrezione, con grande perseveranza, per guadagnarsi sul campo stima e fiducia, per risultare affidabili. Il credente che incontra Dio, che è Amore, si sente inviato ad amare chi porta impresso il volto di Dio, gli uomini tutti, a cominciare da quanti vivono nella fragilità e nell’indigenza, gli “invisibili” al mondo. Le nostre comunità devono crescere nelle relazioni per spandere il calore della casa, diventare famiglia di famiglie; comunità fredde, burocratiche, non attraggono anzi respingono chi si affaccia alla porta.
Il giorno dopo tutti i partecipanti furono divisi nei 4 ambiti previsti dal Convegno: 1)Chiesa in ascolto, 2)Chiesa madre, 3) Chiesa famiglia, 4) Chiesa in missione. L’esperienza di questi laboratori è stata molto bella e significativa; come sempre il confronto arricchisce e gratifica, ma questa volt c’era come qualcosa di diverso. Nelle esperienze di vita e di conversione dei miei compagni di laboratorio ho percepito la mano di Dio, vedevo come Dio ha cambiato la loro vita, percepivo la gioia di un incontro che trasforma; e questo lo percepivo non solo dai loro sorrisi e dalle loro parole, ma soprattutto nei loro sguardi quando raccontavano qualcosa del loro passato. Si poteva sentire la tristezza del loro vissuto, ma questa non si fermava alla mera rassegnazione, commiserazione e vergogna, era una tristezza che apriva alla gioia, alla speranza. Condividendo questi spaccati di vita si è riusciti, nel mio laboratorio, ma sono certo anche negli altri, a creare un clima in cui si è potuto lavorare bene, nonostante l’argomento “Testimoni del dono della vita” non fosse dei più semplici e dei più concretizzabili in riferimento alla formulazione di proposte da inserire nella prossima pastorale.
La giornata di sabato è stata quasi interamente assorbita dai lavori di gruppo; dopo cena però, abbiamo voluto affidare la nostra giornata e tutto ciò che i laboratori avevano “partorito” a Maria, in una emozionante veglia di preghiera in cui abbiamo ripercorso i passi della nostra Mamma celeste, a cui ci siamo affidati; infine, dopo una breve preghiera nella Santa Casa, siamo tornati nei dormitori a riposare. Nel giorno successivo, i responsabili dei quattro ambiti hanno fatto un breve resoconto dei vari risultati e delle varie proposte che sono scaturite dalla giornata precedente, i quali saranno poi inseriti e ampliati nella prossima pastorale, ed infine Mons. Luigi Conti ha preso in consegna tutto il nostro lavoro e ringraziato i delegati per il servizio svolto; per finire, i vescovi, i sacerdoti e i diacon che hanno partecipato al Convegno hanno celebrato la Santa Messa per la festività di Cristo Re, in cui, tra l’altro 3 ragazzi hanno ricevuto i Sacramenti del Battesimo e della Confermazione.
Come detto prima, i lavoro dei delegati sarà convogliato nella pastorale delle diocesi; ci sono però dei punti emersi in tutti gli ambiti e in tutti i laboratori, nonostante i vari temi trattati, e di questi voglio farvene dono. I tempi che stiamo vivendo sono segnati dalla parola crisi: crisi del lavoro, crisi dell’economia, crisi politica; ma a monte di tutto ciò si staglia la crisi dei valori che attanaglia la nostra società. Forti dei numeri e del consenso che la Chiesa riscuoteva in passato, noi tutti ci siamo, come dire, adagiati sugli allori, passando di fatto ad una adesione formale, dimenticando il compito missionario di annunciare la buona novella del Vangelo. E questo si è tradotto, molte volte e con i dovuti distinguo, in un cattiva formazione delle nuove generazioni, che hanno sempre più visto l’insegnamento della Chiesa come una forzatura, come parole prive di significato. E da qui la sempre più stringente necessità, non solo di evangelizzare che non ha ancora conosciuto il Signore, ma anche ri-evangelizzare le generazioni che, per formazione ricevuta, hanno avuto modo di conoscerlo, ma che, anche per colpa dei loro educatori, non hanno percepito questo incontro con Dio, che ti cambia la vita. Perciò, non dobbiamo dare la Fede per scontata. Accanto a ciò bisogna organizzare delle iniziative, individuali e comunitarie, mirando all’essenziale e all’ordinario, senza ricercare, per forza, lo straordinario n quanto è solo Dio che può rendere straordinario e fruttifero il nostro operato. Bisogna rivolgersi ai dimenticati, i reietti, i relegati alle periferie esistenziali e recuperare quelli che si sono smarriti, senza avere il timore di incamminarsi in sentieri difficili e deserti (o che noi vediamo deserti),non chiediamoci se Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? , ma, come Filippo, mettiamoci in cammino, senza anteporre troppi se, troppi ma e troppi però per giustificare il